Zootropolis 2
Oltre la città degli animali: quando la Disney impara a cambiare
A distanza di 9 anni dal primo capitolo, che valse a Disney un Oscar e un Golden Globe rappresentando per il panorama dei film di animazione una vera rivoluzione, torna sul grande schermo Zootropolis, con un sequel diretto da Byron Howard e Jared Bush che non si limita a riproporre la formula vincente del film del 2016, ma la amplia e la trasforma in un’opera più matura, più convincente e sorprendentemente coraggiosa per gli standard Disney. Sebbene anche il primo film avesse affrontato temi come discriminazione, pregiudizio e profilazione sociale, questo nuovo Zootropolis sceglie di approfondire le fratture interne di una società apparentemente utopica, portando in superficie tensioni che ricordano da molto vicino la condizione palestinese e quella degli immigrati negli Stati Uniti, senza mai dichiararlo esplicitamente ma lasciandolo intuire attraverso immagini di territori contesi, comunità isolate e sguardi di sospetto reciproco.
Zootropolis in questo secondo film riflette una realtà sempre più vicina alla nostra, non più varietà di animali buffi, ma un luogo dove ogni specie simboleggia qualcosa di più profondo, un’identità, una storia, un bagaglio di vite e ferite. E dentro questo mosaico così ricco, la Disney ci regala interessanti nuovi personaggi animali che faranno squadra insieme a Judy e Nick in questa avventura: la castora Nibbles Maplestick, esperta di rettili, e Gary il serpente, fulcro principale da cui partirà tutta la vicenda. Ed è proprio con quest’ultimo animale che la Disney dà prova di un altro cambiamento all’interno del panorama: il serpente, che nelle fiabe è spesso stato associato all’inganno, al pericolo e alla cattiveria, si rivela invece in Zootropolis un essere tranquillo, positivo, perfino protettivo con i suoi nuovi amici; è una scelta radicale e di impatto, perché ribalta un arcaico pregiudizio disneyiano diventando simbolo del concetto di “paura verso il diverso” che porta alla conseguente decisione del “mostro” di turno nella storia.
E a quel punto il film sembra sussurrare una domanda ancora più scomoda: e se invece il mostro si rivelasse semplicemente colui che racconta solo la sua versione dei fatti, omettendo il resto, allora chi diventa il villain? Il riferimento politico in questo caso a ciò che stiamo vivendo oggi diventa evidente, quasi impossibile da ignorare ed è anche giusto non farlo: perché Disney, con questo nuovo capitolo, decide che non basta aggiornare l’estetica, ma bisogna cambiare lo sguardo sul mondo e di conseguenza prende ciò che per decenni ha definito le sue storie (il bene riconoscibile, il male consolidato, gli stereotipi già scritti) e li capovolge senza paura, mostrando una nuova maturità, più consapevole delle storie che racconta e del pubblico che le guarda.
L’elemento fondamentale che anche in questo sequel risulta essere vincente rimane comunque l’atipica amicizia (che, ammettiamolo, noi tutti vorremmo fosse qualcosa in più) tra Judy e Nick: imperfetta, un po’ strana, ma, nonostante tutto, incrollabile. Una volpe e un coniglio, un predatore e una preda, che fanno delle differenze la loro forza e non un ostacolo, un legame chiaramente con un sottotesto politico che però non scade mai nel banale clichè del “diverso come amico” ma che invece si conferma una significativa riflessione sui rapporti umani, di cui Zootropolis rimane imbattuto nel panorama dei prodotti disneyiani.
Se il primo film aveva ribaltato le leggi non scritte della Disney, Zootropolis 2 le analizza parlando di appartenenza, di politica e di fragilità emotive, ma senza mai lasciare da parte il cuore di ciò che aveva conquistato il pubblico nel 2016: le sue citazioni alla cultura pop e ai buddy movies degli anni 90 e la convinzione che l’altro, soprattutto quando è diverso da noi, non sia una minaccia, ma un’occasione per crescere e per migliorare se stessi.
Zootropolis arriva nelle sale il 26 novembre distribuito da Disney.




